Il 30 maggio 1974 venne ucciso il combattente.

Morto, cercarono d'incastrarlo per depistare

le loro stragi schifose ma il tentativo fallì.

Sepolto, è stato dimenticato.

Perché non era un morto comodo per il maquillage politicamente corretto di chi ha scalato la società avendo come base le nostre magnifiche tragedie.

Lo hanno quindi dimenticato,

per noi invece è sempre Presente!

mercoledì


IN RICORDO DI GIANCARLO ESPOSTI 
30 MAGGIO 1974


« Il 30 maggio 1974 venne ucciso a Pian del Rascino, in provincia di Rieti, Giancarlo Esposti, militante di Avanguardia Nazionale. 
« Cecchinato» a freddo dal tiratore scelto dei carabinieri, maresciallo Filippi. L’episodio, frettolosamente archiviato come conflitto a fuoco, avvenne due giorni dopo l’attentato di Piazza della Loggia a Brescia. 
L’identikit (a volto sbarbato) del giovane era apparso su tutti i giornali. Quindi era « wanted» e non vivo o morto, ma solo morto.
Nell’intenzione dei solerti « operatori di giustizia» , era stato
prescelto come lo stragista, e la sua morte tra i monti del reatino avrebbe dovuto costituire il suggello di una ben congegnata operazione a regia, diretta ad attribuire ai fascisti la responsabilità della strage di Brescia.
Gli « operatori» ignoravano soltanto il fatto che Giancarlo Esposti si era lasciato crescere una folta barba…» 
(Paolo Signorelli-Di Professione Imputato-Edizioni Sonda 1996). Giancarlo oggi è sepolto a Lodi, sua città natale.


A Pian del Rascino venne ucciso Giancarlo Esposti e i servizi provarono a perfezionare una macchinazione diabolica. 

Il 18 maggio 1974 la polizia di Taviani, il ministro degli interni già capo partigiano, tra i brandelli di carne e metallo in cui vennero rinvenuti i resti di Silvio Ferrari, un giovane ordinovista saltato in aria sulla sua motocicletta in circostanze non chiare, "trovò" miracolosamente intatta una copia del giornale Anno Zero. Sulla base di questo miracoloso gioco di prestigio partì il teorema dello stragismo “neonazista”. Perché lo stragismo? Già sapeva, quella polizia, che dopo qualche giorno sarebbe stata perpetrata una strage. Il cui effetto fu il superamento della contrapposizione Dc-Pci e il varo, quell'estate, del "compromesso storico".

Dieci giorni dopo la morte di Silvio Ferrari, infatti, il giorno 28, venne perpetrata a Brescia, in Piazza della Loggia la prima di due stragi (Brescia e Italicus) che in quattro mesi avrebbero aperto la strada ai “governi di unità nazionale” con il partito comunista. Per la prima volta dopo un secolo di manifestazioni in Piazza delle Loggia, quel giorno le forze dell'ordine si schierarono in un posto diverso da quello occupato per consuetudine. E proprio lì, dove era uso che si schierassero, ma non lo fecero, l'ordigno esplose: oltretutto era nascosto in un cestino da poco perquisito.

Due giorni più tardi, il 30, venne ucciso dai gruppi speciali dei carabinieri a Pian del Rascino, nel reatino, Giancarlo Esposti cui si cercò di attribuire la strage; ma l'identikit che fu dettato al “testimone” che secondo i piani doveva addossargli la responsabilità dell'eccidio si rivelò inservibile perché Esposti che, morto, non poteva più difendersi, si era fatto crescere la barba da un mese, particolare che i depistatori ignoravano e che neutralizzò il loro tentativo d'incastro.


L’anno 1974 fu segnato da numerosi attentati dinamitardi in Italia, soprattutto nella città di Brescia. L’episodio, che spinse il “Cupa”, Comitato unitario permanente antifascista, a convocare una grande manifestazione antifascista per il 28 maggio a Piazza della Loggia, fu la morte di un giovane neofascista, Silvio Ferrari, appartenente a Ordine Nuovo, saltato in aria, la notte tra il 18 e 19 maggio, con il suo ciclomotore mentre trasportava un ordigno ad alto potenziale. Nonostante la giornata piovosa, alla manifestazione erano presenti più di duemila e cinquecento persone, sul palco dirigenti dei comitati antifascisti, ma anche un folto gruppo di uomini delle forze dell’ordine. All’improvviso, da un cestino dei rifiuti collocato sotto ad un porticato, una grande esplosione che investì in pieno alcuni manifestanti. Il bilancio fu drammatico, otto morti e più di cento feriti.
Le prime indagini della Magistratura portarono subito alla pista dell’estrema destra. Tra i presunti responsabili anche un giovane “Sanbabilino”, Giancarlo Esposti. Figlio di un venditore di automobili di Lodi, da giovanissimo si iscrisse alla Giovine Italia, Avanguardia Nazionale, poi Ordine Nuovo. Protagonista di numerose iniziative politiche e non, fu arrestato più volte dalla Polizia. Nel maggio del 1974, con l’arresto dei vertici del Movimento d’azione rivoluzionaria, Giancarlo Esposti, insieme ad altri camerati, lasciò Milano per fuggire verso l’Italia centrale. Dopo una settimana di soggiorno in un appartamento affittato nella frazione di Roiano di Campli in provincia di Teramo, decise di trovare un rifugio più sicuro. Per evitare posti di blocco della polizia, fu costretto a percorrere sentieri tortuosi fino ad arrivare a Pian del Rascino, milletrecento metri di quota, in provincia di Rieti, dove piantò una tenda da campeggio e iniziò ad elaborare alcuni progetti rivoluzionari. Il Corpo Forestale, allertato dalla presenza di sconosciuti nel bosco, decise di effettuare un controllo solo la mattina del 30 maggio, due giorni dopo l’attentato a Brescia.
Infatti, proprio in quelle ore, mentre Brescia piangeva i suoi caduti, Giancarlo Esposti, decise di lasciare la montagna per raggiungere Roma. Al suo ritorno, nell’accampamento, gli amici, non parlarono d’altro che della bomba esplosa a Piazza della Loggia e che quello poteva essere il segnale imminente di un colpo di Stato. Come programmato, all’alba del 30 maggio, sei carabinieri e tre guardie forestali giunsero nei pressi dell’accampamento. Ne scaturì un conflitto a fuoco. Giancarlo Esposti, nonostante le vistose ferite riportate, fu immobilizzato, inginocchiato e freddato con un colpo di pistola alla tempia. 
Forse Giancarlo Esposti sapeva troppo, forse era un personaggio scomodo che doveva essere eliminato, perché quella spedizione, non fu altro che una vera e propria esecuzione.


i mezzi con cui i carabinieri sono giunti il 30 maggio 1974 
a Pian del Rascino per eliminare Giancarlo Esposti





Il 30 maggio 1974 a Pian del Rascino, nel Reatino, veniva ucciso da una pattuglia di Carabinieri Giancarlo Esposti, militante dell'ultradestra milanese.

Due giorni prima a Brescia era stata commessa la prima strage consociativa; ovvero il primo massacro volto a far passare nell'opinione pubblica italiana l'idea dell'opportunità di una coalizione tra “nemici” storici: Dc e Pci.

Compromesso Storico

Quel programma, definito appunto Compromesso Storico, era stato disegnato dal partito della Fiat, che si sobbarcò i debiti contratti dai comunisti dopo lo spaventoso aumento della vita susseguito alla Guerra del Kippur dell'autunno precedente e al consequenziale serrate degli Stati produttori del petrolio. Il patto fu quindi ideato dall'avvocato Agnelli e, con lui, da Giulio Andreotti e da Enrico Berlinguer.

Ai registi occulti, a quelli che, come Pasolini, potremmo dire che si sa bene chi siano ma se ne ignora il nome, al fine d'imboccare con successo di carriera la nuova strada parve necessario creare uno stato d'allarme generalizzato e così pensarono di riproporre uno scenario da primavera '45: unità nazionale contro un'eversione nazifascista che fu esaltata appositamente e dipinta appunto come stragista. Per la 

salvaguardia della democrazia e per la difesa della sicurezza pubblica tutti avrebbero finito con l'accettare senza troppe resistenze l'abbraccio improvviso tra gli storici rivali.

E i garanti di quest'unità avrebbero così non solo mantenuto ma addirittura consolidato il loro ruolo di registi occulti.

Così maturarono la strage di Brescia e, due mesi e una settimana più tardi, quella del treno Italicus: stragi che portarono il Partito comunista in area di governo e ve lo lasciarono per anni; fino a quando i poteri forti lo ritennero opportuno.

Il fiasco dell'identikit

La morte di Esposti si presentò come un'occasione unica per i direttori d'orchestra. 

Le strutture “deviate”, deputate a inquinare le indagini e a indirizzarle sempre in un vicolo cieco, pubblicarono immediatamente l'identikit dell'autore del massacro di Piazza della Loggia: era la fotocopia di Giancarlo Esposti.

Ma, come sa il popolo che esprime la voce di Dio, “il diavolo fa le pentole ma non i coperchi”.

Esposti si era lasciato crescere la barba da più di un mese e nell'identikit di colui che doveva essere lo stragista di soli due giorni prima non c'era un solo pelo sulle guance e sul mento. Troppo palese l'esecuzione a comando del portrait-robot, realizzato in ufficio da una foto segnaletica e non frutto di una testimonianza oculare, perché gli agenti devianti e le loro casse di risonanza facessero altro che una fischiettante fuga alla chetichella.

Il particolare da allora è stato scandalosamente rimosso mentre invece, a ben trentasei anni di distanza, gli eredi canuti del non ancor tramontato partito dei devianti tuttora si affannano a cercare tra delinquenti comuni presunti “collaboratori di giustizia” che non parlano di fatti concreti o di episodi tangibili ma riportano frasi imprecise - e tra l'altro mai documentate – che dovrebbero in qualche modo tenere in piedi l'architettura corrosa e traballante dello stragismo nero.

In altri Paesi dove uno straccio di Stato esiste, una volta che i devianti si sono fatti cogliere con le mani nel sacco sono squalificati a vita. In Italia, da oltre sei decenni Paese-colonia gestito da cosche, è invece possibile anche questo.

E se è possibile ancora oggi insistere con faccia di tolla a proporre l'improponibile, figuriamoci allora!

La caccia alle streghe

L'incastro di Esposti, morto e quindi non in grado di rispondere alle accuse, fallì miseramente.

Ciò non ostò alla caccia alle streghe organizzata in grande stile dal ministro degli interni dell'epoca, il capo partigiano Paolo Emilio Taviani con il varo degli arresti indiscriminati per il semplice possesso di una copia di un giornale – autorizzato! – di marca “nazifascista”.

Sarebbe divertente sapere che cos' hanno da dire i Di Pietro vari a commento di una serie di arresti illegali compiuti in nome di uno stato eccezionale di polizia che sbeffeggiava letteralmente le leggi e le autorizzazioni dei Tribunali.

Da quel giorno si varò l'epurazione selvaggia, una riedizione in sedicesimo del biennio post-bellico e s'incoraggiò parimenti la follia dell'uccidere un fascista non è reato, di cui si aveva già avuto un chiaro sentore un anno prima con il rogo di Primavalle.

Il sangue scorse a fiotti e sappiamo che lo dobbiamo – tutto – a coloro che abusarono dei poteri istituzionali usandoli non in logica di Stato, come ha sostenuto, sbagliandosi, una fiorente letteratura d'inchiesta prodotta a sinistra, ma in logica di Anti-Stato.

O, se vogliamo, in logica d'obbedienza a qualche altro Stato, che non sempre né soprattutto fu quello americano e quasi mai il sovietico.

E se domani

Confidiamo che un giorno quella storia verrà finalmente conosciuta così come veramente si svolse.

Troppo tardi forse perché qualche centinaio di individui potenti e ignominiosi paghi il fio delle proprie colpe, ma non perché la verità affermi la dignità di chi è stato accusato ingiustamente e fotografi la miseria umana di certi paladini della democrazia.

Noreporter


I carabinieri e i forestali del conflitto a fuoco










LA STAMPA 31 MAGGIO 1974

 PAESE SERA 31 MAGGIO 1974


IMPRESSIONE
Fa impressione entrare in un cimitero un sabato pomeriggio.
Due tombe.
L'una di quello ucciso a sprangate,  l'altra di quello ucciso a revolverate.
L'uno ucciso dagli uomini in rosso, l'altro da quelli che il rosso in riga  l'hanno sui pantaloni.
Forse erano fratelli, forse no, ma tutti e due li hanno seppelliti di notte perché di giorno gli uomini rossi e quelli dalla rossa riga, ai feretri volevano dare tormento.
Fa impressione che l'una abbia fiori freschi, corone, pergamene votive sole in faccia e per corona l'intera famiglia.
E l'altra,  l'altra no.
L'altra è giù,  al fondo di un cunicolo un labirinto di colombari  bisogna attraversare per trovarla in basso, quasi rasoterra  come se per chi l'abita fosse ancora e sempre maggio.
Disadorna e un po' malmessa ha fiori secchi e foto sbiadita.
Fa impressione  saperti lì dietro una lapide incrinata a fare da scudo al tuo sorriso mai spento
Mi si è impressa l'anima fratello di passate primavere, ora che l'autunno è arrivato a preannunciarmi l'inverno.
Ma oggi, oggi per noi è ancora primavera:  lo dicono freschi i fiori.
Maurizio Murelli
3 giugno 2016
Novembre 1970 
 Le nostre camerate non ci abbandonavano mai. (Foto di Cesare Ferri)